La grande maggioranza delle case in cui viviamo consuma ed
inquina molto più di quanto dovrebbe: edifici costruiti almeno 25 anni
fa e caratterizzati da soluzioni progettuali, costruttive e tecnologiche
tipiche dell’epoca (scarso isolamento delle pareti, serramenti
inadeguati, caldaie poco performanti …) che non consentono, senza
un’adeguata riqualificazione, il raggiungimento di determinati standard
di risparmio energetico.
Tuttavia, anche numerose costruzioni realizzate negli ultimi 10 anni e
spesso vendute come “ecosostenibili” ed “a basso consumo” risultano
invece dei veri e propri “colabrodo”, evidenziando notevoli carenze
soprattutto a livello di dispersioni termiche e di coibentazione delle
superfici di involucro. Così, anche in questi casi, il giusto comfort
abitativo è ottenibile solamente a fronte di maggiori spese sia per il
riscaldamento invernale sia per il raffrescamento estivo.
Questo è quanto emerge da un recente studio effettuato da Legambiente: un’indagine termografica condotta su più di 500 immobili sparsi in tutta Italia, molti dei quali da poco edificati e pubblicizzati come “ecologici”.
La situazione è molto ambigua: fabbricati che sulla carta dovrebbero
essere delle perfette “macchine energetiche” in realtà non lo sono
affatto. Tutto ciò contrasta fortemente con il diritto legittimo
dell’utente di ricevere informazioni esatte, attendibili e pienamente
conformi sulle caratteristiche tecniche dell’abitazione in cui andrà a
risiedere.
Lo strumento che dovrebbe permettere ai cittadini di conoscere e valutare correttamente i consumi di un edificio è la certificazione energetica;
l’attestato di prestazione energetica (APE) deve essere allegato
obbligatoriamente ad ogni atto di compravendita o di locazione e
riportato su tutti gli annunci immobiliari.
A volte, però, tale documento non contiene dati affidabili poiché alcuni tecnici, lavorando con estrema superficialità ed al costo di poche decine di euro, non effettuano i sopralluoghi e le indagini indispensabili, causando in questo modo un considerevole danno economico per l’acquirente o l’affittuario.
Infatti la classe energetica di un alloggio concorre, oltre che alla
definizione della spesa in bolletta, anche alla determinazione del
valore di mercato: un appartamento certificato con consumi bassi otterrà
una quotazione economica nettamente superiore rispetto ad uno meno
ecologico. Tuttavia questa differenza di valore spesso non è
giustificata ed un APE non redatto in maniera corretta può portare a
pagare un’abitazione dai 100 ai 400 euro/mq in più di quanto non valga
veramente; questo significa che, in casi estremi, un’unità di media grandezza può essere sopravvalutata anche di 50.000 euro.
Queste distorsioni sono dovute al fatto che in molte Regioni (quali
Liguria, Veneto, Lazio, Calabria, Campania, Sardegna…) non esista ancora
un sistema di controllo efficace che tuteli attivamente gli interessi
di cittadini, imprese e progettisti onesti. Anche nelle regioni “più
virtuose” gli accertamenti sono spesso insufficienti ed effettuati
solamente “a campione”.
Quindi, da un lato sarebbe auspicabile uno snellimento delle procedure amministrative, delegando maggiori poteri e responsabilità ai tecnici privati; dall’altro sarebbero necessarie verifiche più severe.
Teoricamente deregulation e semplificazione sono armi ottime contro le lungaggini burocratiche,
tuttavia la mancanza di un adeguato sistema di vigilanza ha consentito a
molti di trarre profitto dai punti deboli del sistema per tornaconto
personale, a discapito della qualità.
Su alcune pagine web dedicate ad acquisti online scontati si trovano, da diverso tempo, offerte per certificazione energetica a prezzi davvero bassi: non è insolito trovarne a 40 euro o meno. Se il lavoro venisse eseguito “a regola d’arte”, simili importi sarebbero difficilmente sostenibili da parte del professionista.
Infatti per ogni coupon venduto il gestore del sito trattiene una
cospicua commissione che normalmente si aggira attorno al 50%; a questo
si aggiunge la tassa di registrazione dell’APE al catasto energetico
regionale (in Lombardia è di 10 euro). Detraendo, infine, le imposte
dovute (quali IVA, ritenuta d’acconto IRPEF e contributo Inarcassa) al
certificatore rimarrebbero poco più di 5 euro, non sufficienti nemmeno a
coprire le spese vive affrontante.
Alla luce di quanto sopra è possibile trarre due conclusioni: o
siamo in presenza di “benefattori” che pur di dare il proprio
contributo alla causa decidono di lavorare esclusivamente in perdita,
oppure ci troviamo di fronte a tecnici quantomeno spregiudicati che,
sfruttando le maglie molto larghe dei controlli, decidono di basare il
loro business sul modello “copia e incolla” con documentazioni fatte “a
fotocopia” e senza compiere le dovute indagini.
Il risultato prodotto da tale sistema è una marea di APE totalmente difformi dalla realtà.
Sono molto frequenti annunci di abitazioni, in vendita o in affitto,
attestate in classi energetiche alquanto fantasiose, per esempio comuni
appartamenti costruiti nei primi anni ’80 e mai riqualificati in classe
C!
Redigere certificazioni non veritiere, oltre a costituire reato con
profili penali di falso in atto pubblico, va contro le finalità della
legge stessa che, prevedendo proprio la loro obbligatorietà, ha voluto
incentivare il risparmio energetico in edilizia, permettendo al futuro
acquirente una valutazione precisa delle caratteristiche dell’immobile.
Nel nostro Paese ci sono effettivamente troppe normative e troppa
burocrazia, troppi organi preposti a rilasciare licenze ed
autorizzazioni. Sarebbe invece necessario semplificare tutto questo;
tuttavia, per poterlo fare in modo efficace, bisognerebbe instaurare un
efficiente apparato di controllo. Allo stato attuale il rischio che si
corre è quello di arenarsi in un sistema che risponda esclusivamente
alla logica del maggior ribasso, producendo soltanto risultati di
qualità infima.
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